venerdì 8 maggio 2020

Step#14:Il punto, tra onlife e pubblicità


A proposito degli SMS:

"Lo stadio attuale è arrivato a permetterci di coniugare due proprietà che prima sembravano incompatibili: discontinuità di produzione e ricezione e discontinuità del testo. A produrre cioè dialoghi a distanza che non necessariamente contengono tutte le tracce della redazione del testo e della sua esecuzione, ma che possono mantenerne la quasi sincronia."




 Di linguaggio dei social network si parla e si scrive da tempo, in termini non sempre positivi.
Ciò che sembra succedere alla lingua in rete è visto come un processo di distruzione dell’italiano “come lo conosciamo e come l’abbiamo studiato”, una sua corruzione rispetto a un’età dell’oro in cui invece le persone conoscevano bene la norma, la applicavano, usavano il congiuntivo e la punteggiatura corretta.

Le mail, gli sms, ma soprattutto i programmi di messaggistica istantanea ci hanno abituato a un uso della punteggiatura meno sintattico e più emotivo. Questo è dovuto soprattutto al fatto che se fino a pochi anni fa la scrittura serviva per costruire relazioni attraverso un mezzo non istantaneo – un quotidiano, un libro – oggi tende ad evolversi verso una forma di oralità scritta.
Nell'era della messaggistica istantanea il punto in fondo alla frase diventa superfluo, dato che il messaggio si può spezzettare con INVIO. Il punto stesso, diventando opzionale, subisce di conseguenza una risemantizzazione: terminare un messaggio di Whatsapp con il punto non è più considerata un’operazione neutra, che indica semplicemente la fine della frase, viene letta emozionalmente come indice di severità, distacco, irritazione, scontentezza o persino sarcasmo. 


In contrapposizione all'uso del punto nella messaggistica istantanea troviamo la pubblicità.
Emanuele Pirella, padre dell’advertising italiano, sintetizzo l'abitudine dell'utilizzo del punto nei titoli con la formula "Punto Pirella".
Considerato inventore di nuovi linguaggi fu spesso oggetto di cronaca.


Tra l’advertising e il punto c’è sempre stato un rapporto molto stretto e talvolta anche un poco morboso.
Per tradizione i titoli degli annunci pubblicitari, a differenza di quanto avviene nei quotidiani e nelle riviste, si scrivono con un punto alla fine.
 La ragione principale è che i titoli pubblicitari non bastano a se stessi, ma sono parte di un discorso che si articola anche attraverso segni grafici e immagini. 
Se è vero che già nei primi anni Duemila qualche agenzia interpretava questa regola sulla punteggiatura con un po’ meno rigidità e una certa elasticità, è altrettanto vero che fino all’avvento della rivoluzione digitale il punto a fine titolo era uno dei segni distintivi della pubblicità con la P maiuscola: headline scritte senza punto, con tre sbarazzini punti finali o con un entusiastico punto esclamativo erano quasi sempre indice di pubblicità di bassa lega, proveniente da studi di serie B o C.
(Fonti:Tra analogico e digitale

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